The Zen Circus - L'ultima casa accogliente

The Zen Circus

L'ultima casa accogliente



Mi sveglio e mi arriva la notifica che è disponibile da qualche ora il nuovo degli Zen Circus. Sì, lo sapevo, ma mi ero dimenticato la data, sebbene li segua e faccia parte di qualche di qualche gruppo di fan sui social. 
Nessun problema, d’altronde è il classico modo di presentarsi del gruppo toscano, senza tanti clamori, quasi in sordina. Ed è anche un ottimo modo per dare al mondo un disco molto riflessivo, introspettivo, anticipato dal singolo “Appesi alla luna”, nato da un viaggio solitario di Appino a Lisbona, di cui loro stessi hanno scritto “Partiamo sottovoce per finire urlando, insieme”
Non ho sentito molto questo cambio dal sottovoce all’urlo, ma sicuramente c’è molto di quel “insieme”, perché, come nuovamente come dicono loro, questo è un disco “più suonato che pensato, più bene di conforto che prodotto”. E sapete quanto abbiamo bisogno di conforto in questo periodo. 

Particolarmente segnato da Appino, tanto da sembrare un disco solista, “L’ultima casa accogliente” riprende il discorso de “Il fuoco in una stanza” continuando l’evoluzione e la trasformazione del gruppo che qui ci parla di corpi intesi come prigioni, come mezzi, come speranze, dall’opener “Catrame”, “Costretti dentro un corpo e dentro al tempo, ma un giorno tutto questo finirà”, che si apre solo con la voce di Appino, primo strumento, dicono loro, che abbiamo a disposizione. 

Il resto si snoda nei temi cari al gruppo. Dai rapporti interpersonali, raccontati in “Non”, alle storie femminili come nella pregevole e toccante “Bestia Rara” ispirata a un documentario del 1976 “Storia di Filomena e Antonio”, che parla di due giovani tossicodipendenti, alla famiglia di “Ciao sono io” e agli auspici di un futuro in “2050”. Ed è evidente e notevole, la capacità (e crescita) di Appino, nel trasformare in versi sentimenti importanti, momenti duri, come la malattia del padre, di cui parla in “Catrame”. Parole splendidamente messe insieme che

colpiscono nel profondo l’ascoltatore.

A livello musicale però, abbandonati gli echi sanremesi, ma anche le rustiche chitarre che li hanno resi celebri, si ascolta un rock più morbido, forse più facile. Non dico più commerciale, ma di certo più smussato, in cui compaiano anche tastiere e synth. Strumenti del diavolo pop, maledette tastiere e maledetti synth! Diranno in molti e devo ammettere che a livello puramente musicale “L’ultima casa accogliente” non mi fa impazzire.
Non sento quell’originalità che ci ha fatto sognare negli anni e no, non parlo di uno stile ben preciso (ovvero non per forza dello stile dei primi dischi o di quelli più celebrati), ma di un approccio che il gruppo toscano ci ha sempre dato in tutti questi anni. 
Trovo comunque grande conforto nell’ultima traccia, la title track, maestosa e profonda, con una chiusura che da sola vale l’ascolto di tutto il disco. Che vi piaccia o no questa nuova casa.


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