Cristiano Godano - Mi ero perso il cuore

Cristiano Godano - Mi ero perso il cuore

Da fan sfegatato e di lunghissima data dei Marlene, mi sono chiesto spesso quando sarebbe arrivato questo momento. Quando cioè, qualcuno, di una band così coesa, avrebbe fatto il suo esordio solista. Com'era facile da immaginare è Cristiano Godano che ha, come si dice, l’onere e l’onore.
Siccome di Cristiano Godano stiamo parlando, il suo disco solista è un lavoro che non bada alle etichette e fondamentalmente nemmeno ai più banali accorgimenti commerciali. Innanzitutto ci propone un disco di ben tredici canzoni, con una durata complessiva di cinquantatré minuti. Una roba che, posso supporre, a buona parte dei discografici farebbe terrore. Poi, fa uscire il tutto in un periodo non proprio ottimale e che non sfocerà, almeno in quest’estate, in un Tour.

A parte ciò, per fortuna ci troviamo in un mondo diverso da quello dei
Marlene, che spuntano vagamente, molto vagamente, solo in un paio di punti. E dico per fortuna, in senso positivo (d'altronde sono un vecchio fan, non so se l’ho già detto), perché se voglio sentire i Marlene, ascolto Godano, Tesio, Bergia, Lagash (Maroccolo, Solo, Enria, Viano) ma se voglio sentire cosa ha da dirmi il buon Godano, voglio sentire lui. E solo lui. 

Poi certo, Cristiano Godano è sempre lui, ci mancherebbe, ed ecco dunque i suoi testi poetici e intensi, che vanno riletti e possibilmente approfonditi con l’autore per poterne apprezzare l’intensità e capirne la genesi. Ma musicalmente, ci stupisce o più che altro è alle prese con una sfera musicale che più volte ha detto di apprezzare. No, Nick Cave non c’è, ma c’è un certo rimando al folk rock americano, alla Neil Young e un certo amore per il cantautorato alla Dylan, che tra l’altro è palesemente citato in “Com’è possibile” secondo singolo dopo “Ti voglio dire”. E a sorpresa spunta, forse per caso o forse no (dice lo stesso Godano) un certo riferimento a Paolo Conte in “Dietro Le Parole”, il cui arrangiamento di Enrico Gabrielli ci porta verso il cantautore astigiano.
Un disco dunque poco italiano, che presenta chitarre acustiche, cori femminili e il preciso basso di Gianni Maroccolo che con Luca A. Rossi degli Üstmamò, produce il tutto.

C’è da dire che non è un lavoro immediato, che a tratti è anche difficile, ma è un’opera originale a queste latitudini e che mostra un’artista che dopo tanti anni di onorata carriera ha ancora la voglia di sperimentare e di provare nuove strade. E di raccontare, come ha fatto anche con le dirette durante il lockdown.

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