Jack White - Boarding House Reach
Dannato Jack White, un giorno capirò chi sei e cosa vuoi. In barba alla tua ecletticità, ai tuoi misteri e alle tue beffe.
Pensavo di essere sulla strada buona con “Blunderbass” e “Lazaretto”, con le tue invenzioni rock/blues. Ma mi illudevo e forse lo dovevo capire da tutto ciò che è venuto prima dei due dischi da solisti.
Comunque, non rivango il passato (ma ricordo con passione un bellissimo concerto con i “Raconteurs”) e brindo al genio che ha creato un disco che si può descrivere in un modo solo: folle.
Il tipo che sembra uscito da un film di Tim Burton si è preso una lunga pausa dopo “Lazaretto” in cui ha passato molto tempo con i figli. Poi ha affittato una casa vicino alla sua e ha iniziato a scrivere con un’idea piuttosto chiara: utilizzare la strumentazione di quando era un giovincello (il che potrebbe anche spiegare la cover in cui sembra essere raffigurato da giovane). Poi non contento di eventuali difficoltà con gli equipment, ha deciso di provare a registrare nuove canzoni in tre giorni con musicisti con cui non aveva mai lavorato. E non parliamo di bluesman o di rocker, no, troppo facile eh! Ma di gente di un altro mondo come Jay-Z, Kanye West, Kendrick Lamar. In quel di New York le cose sono andate così bene, che il nostro ha bissato, dall'altra parte degli States, cioè a Los Angeles e con altri musicisti. Ora mi attendo che il prossimo disco sia composto da canzoni suonate con le ascelle, mentre uno lo sta frustando. Divagazioni a parte, tutte queste contaminazioni spiegano l’esistenza di un disco molto eterogeneo e spiazzante, tra rivisitazioni blues, psichedelia, un po’ di elettronica, percussioni e (dice lui) hip hop. Non si spiega invece come Jack White riesca a dare un ordine a questo caos totale, conducendo l’ascoltatore in un viaggio a dir poco esaltante. O per meglio dire, la spiegazione sta nel fatto che Jack White è uno dei più grandi talenti musicali di queste ultime decadi, uno che ama sempre mettersi alla prova con nuove sfide.
“Boarding House Reach” parte proprio con la prima canzone scritta per questo nuovo album “Connected by love” una struggente canzone sull'amore perduto, un blues nelle corde di White che ogni tanto si imbizzarrisce svoltando verso sfumature più elettroniche. Ed è già un inizio potente e che soprattutto incuriosisce. E in effetti quello che segue continua, come detto, tra mille variazioni di stili (spesso in corsa) e di intensità, inframmezzate da alcuni momenti parlati.
Tutto si fonde e tutto si confonde nelle follie di “Corporation” per metà strumentale, con percussioni, effetti e organetti in ordine sparso, in quelle di “Hypermisophonic” e “Ice station Zebra” (titolo di un film con Rock Hudson) che ci portano a “Over and Over and Over” destinata ad diventare una delle più amate del disco.
Scritta tredici anni fa per i “White Stripes”, passa ai“Raconteurs” ma rimane alla fine sempre chiusa nel proverbiale cassetto, fino a quando non arriva la collaborazione con Jay-Z e poi un video a dir poco straordinario che sembra girato dal sommo David Lynch. Trascinante, psicotica e compulsiva sembra la vetta del disco, ma non è così, perché quel tipo amante del blu ha ancora molto da raccontare in brani come “Everything You’ve Ever Learned”, in “Ezmereleda Steals the Show” e “Get in the mind shaft”.
E solo alla fine, trova la pace con “What’s Done is Done” e “Humoresque” marcatamente blues.
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