Les Négresses Vertes

Les Négresses Vertes - storia di una festa finita presto


Avevo tredici anni e ignoravo l’esistenza delle radio indipendenti che dalle mie parti erano Radio Flash e Radio Torino Popolare. Prima di andare avanti, vi chiedo un minuto di raccoglimento in onore ai caduti.
Bene, andiamo avanti, dicevo, un giorno preso dalla voglia di ascoltare una canzone diversa dalle solite, che mi piaceva tantissimo, chiamo una radio dalla programmazione discutibile.

“Buongiorno (sono sempre stato uno educato) vorrei ascoltare Zobi la mouche dei Les Négresses Vertes
“Cosa?”
Zobi la mouche dei Les Négresses Vertes
“Ah…boh…vabbè…non so se ce l’ho…se ce l’ho va bene, ma altro niente, tipo Gino Latino?”
L’indegno DJ al soldo delle major trova suo malgrado il pezzo e lo trasmette.
Ma ero io che ero nel giusto. Avevo intuito le potenzialità di un gruppo e di un genere che da lì a poco avrebbe preso piede.
Les Négresses Vertes fanno parte di quell'ondata di band che arrivano delle banlieu, figli di immigrati di varia provenienza, che escono dai ghetti, così come i loro concittadini, più rock, Mano Negra o che fanno parte di città difficili (tipo i Massilla Sound System, che però hanno un’idea di musica completamente diversa) e che solo la Francia, con la sua storia poteva generare.

Alla fine la loro la chiamano World Music, un’etichetta elegantissima che però contiene cose molto più vissute. Rock, ska, folk, rai, valzer, flamenco, influenze musicali arabe, gitane, mediterranee e una quasi infinita presenza di strumenti che vanno dalle chitarre elettriche alla fisarmonica, strumento, quest’ultimo, che trova una sua giusta rivalutazione. Chiamiamola Patchanka, temine inventato dagli stessi Mano Negra
Figli spettinati e mal vestiti dei Gipsy Kings e sorta di versione francese dei Pogues. Anche l’Italia avrà una sua ondata, rappresentata soprattutto dai Mau Mau e anni dopo dai Lou Dalfin.

Les Négresses Vertes sono un gruppo multi etnico che nasce nel 1987 Nord Est di Parigi (nello specifico da rue de l'Ourcq) e che deve il nome a un insulto di un buttafuori o di un vigile o di un gruppo di bikers (le versioni sono discordanti) nei confronti dei membri della nascente band, cacciata da una festa o da un locale con un “fuori di qui negri dai capelli verdi!”.
Invece di incazzarsi, se la ridono e usano il nome per il gruppo composto da una decina di persone con esperienze nel punk, nel mondo del circo, (qualcuno faceva l’acrobata) e…nella riparazione delle reti da pesca. A capo, il domatore, l’imbonitore da sagra: l’istrionico Helno, cioè l’italo francese Noel Rota.

Dopo i soliti concerti un po’ dove capita, nel novembre del 1988 esce “Mlah” per l’etichetta indipendente “Off the Track”“Mlah” ha già nel suo titolo il suo significato (“tutto bene” dicono gli esperti) e nel singolo “Zobi la mouche” il suo manifesto. Una spumeggiante canzone che mischia tutte le esperienze e provenienze della band. È un disco frizzante sudato, circense, in cui Helno dà sfogo alla sua voce graffiante e i compagni d’avventura, Stéfane Mellino in primis con la sua chitarra (e co-autore), lo accompagnano alla perfezione. Poi ci sono: Mathias alla fisarmonica, Paulo al basso, Abraham al trombone, Zézé alla batteria, Gaby alle percussioni e un coro di voci femminili. Seguono alcuni videoclip girati con molta fantasia e pochi soldi.

Una festa ma solo all'apparenza, perché i testi spesso sono critici e parlano del sociale, dell’emarginazione a cominciare dal significato del suo singolo più noto. Il disco ha altri brani fondamentali, che diventano marchio del gruppo, come “L'Homme des Marais”“Voila l'et蔓La Valse” e “Les Yeux de ton pere”. Un esordio perfetto, chiaro e con tratti ben distinti. Successo in patria inaspettato e incredibilmente in tutto il mondo, a partire dalla Gran Bretagna, che trova spazio per questi ragazzi di Parigi che riempiono e fanno esplodere tutti i posti dove vanno a suonare.
Ma non solo, perché vengono pure invitati a partecipare a due compilation. La prima è “Red, Hot And Blue”, in favore della raccolta fondi contro l’AIDS composta da cover di Cole Porter, in cui il gruppo francese partecipa, in mezzo a grandi nomi, con “I Love Paris”. L’altra è “Last Tentation of Elvis”, per “NME”, in cui partecipano, sempre in mezzo a grandi nomi, con “Marguerita”. E poi, Madonna, li sente e se ne innamora, (così come farà anni dopo con Eugene Hütz e compagni, che hanno qualche punto in comune loro e soprattutto con i Mano Negra) a tal punto di volerli nella colonna sonora di “Dick Tracy”, in cui sono presenti con “Hou Mamma Mia”. Così si fanno un nome anche oltreoceano. Risultato finale: 350.000 copie vendute, per un disco ancora fresco oggi.

Ma si sa, il successo porta con sé anche qualche problema, che nel caso della band è una controversia con l’etichetta presa in contropiede dal successo del primo disco e dalle logiche richieste del gruppo. Nasce un braccio di ferro che fa sparire il gruppo per un po’ dalla circolazione e che poi riappare prepotentemente in un live a Parigi, in cui suona tutti i brani del secondo disco che esce solo nel 1991 e s’intitola “Famille Nombreuse”. Produzione di Sodi, già produttore del primo disco e collaboratore di Fela Kuti e dell’inglese Clive Martin

Il risultato è un disco meno grezzo, meno sudato e a dirla bene meglio pensato. “Sous le soleil de Bodega”“Hou Mamma mia” e “Famille Hereuse”, sono i tre singoli che spingono questo lavoro e consacrano la band. Consacrati anche da un concerto in Libano, il primo dal 1975, dopo lo scoppio della guerra che si conclude con una standing ovation. Una famiglia, più che un gruppo, che torna in patria a prendersi, ancora una volta, una marea di applausi.

Poi, purtroppo, arriva il 1993. Il 21 gennaio Les Négresses Vertes
sono ospiti della trasmissione “Taratata”. Dopo la registrazione Helno, si fa accompagnare a casa. La casa in cui ha sempre vissuto, dove è cresciuto e dove vive sua mamma. Rue de l’Orcq, dove ha incontrato i suoi compagni. La casa dove va a rifugiarsi con i suoi demoni, l’alcool e l’eroina. Ed è proprio un’overdose che mette fine alla vita di quello che è stato definito “il cantante più incisivo della sua epoca”, uno chansonnier maledetto e bohemien che dopo i concerti andava avanti a far festa e che si spegne a soli ventinove anni. Un ragazzo timido, che si scatenava sul palco e accudito gelosamente dai compagni d’avventura. Una frase de "La chanson de Van Horst" di Jacques Brel è l’epitaffio sulla sua tomba.

Un DJ di “Planet Rock”, la mitica trasmissione di Radio 2, disse che sì, Helno era l’anima del gruppo, ma loro restavano una grande band che poteva, se voleva, continuare.
E così è, con una ragionata e ovvia calma. Esce innanzitutto “Dix Remixes”, nel maggio 1993, una specie di best remixato dai migliori DJ del momento. 
Nel 1994 esce “Zig-Zague”, ma Les Négresses Vertes si sono molto ridotti e si percepisce che il giocattolo si è rotto. Ma gli va riconosciuto di cercare nuovi spunti, una nuova via, che si traducono in sonorità sudamericane. Passabile, ma di certo lontano dai loro momenti migliori.

Segue un lungo viaggio on the road, tanti live, partecipazioni a Festival e il DVD “Green Bus”. Jane Birkin chiede il loro aiuto per il suo album, che è una raccolta di cover di Serge Gainsburg cantati in inglese, in cui la band arrangia “La Gadoue”. Segue un po’ di silenzio, un featuring, un loro brano fa parte della colonna sonora del film “French Kiss” e nel 1999, esce “Trabendo”, (trafficare, contrabbandare). 
Le capaci mani di Howie B, sono forse la cosa più lontana che si possa immaginare dal gruppo di Parigi. Ma, appunto, Howie B, non è uno qualsiasi e il risultato è un album strano, con sfumature elettroniche ma piacevolissimo. Diverso da tutto quello che il gruppo ci ha fatto sentire, ma testimone della volontà di continuare. 


Dopo il solito lungo tour, escono varie compilation e raccolte e nel 2001 il gruppo prende strade diverse. Si ritrovano solo nel 2016 e poi nel 2018 per un tour per celebrare l’uscita di “Mlah”. Tour, che va avanti ancora oggi e che prevede una tappa nella mia città. Chissà se l’indegno DJ che non li conosceva, ci sarà.

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