Idles - Ultra Mono

 Idles - Ultra Mono


Michel Gondry che dirige il video di “Model Village” è la prima cosa che mi ha colpito. Come si fa a coniugare il sognante e delicato mondo del regista francese, con la potenza, la brutalità degli Idles?

E dopo aver ascoltato “Ultra mono”, un’altra cosa mi colpisce: com’è stato possibile riuscire a fare tutto il caos che ho sentito ma in maniera ordinata e pulita? 

Probabilmente la risposta è nella frase “Do you hear that thunder?” contenuta in “Grounds” una canzone che parla di rabbia, diritti e di unità. 

Ma meno poeticamente credo anche una maturità artistica che il gruppo di Joe Talbot ha acquisito col tempo e che li ha portati a questo lavoro che è, senza dubbio (al momento) il loro miglior disco. 

Gli Idles tra gli eroi della working class, sparano sull’ascoltatore un muro di suoni, pesanti, possenti, in cui il punk incontra l’heavy metal e l’hardcore e se ne vanno in giro con la voce ringhiosa di Talbot, che sembra uscito da uno dei peggiori pub inglesi. In una parola: esaltanti, trascinanti.

Il gruppo di Bristol parla della società, di diritti di conflitti di classe, piazzando come sempre frasi che ti entrano in testa, in canzoni che possono diventare inni.

Inizia tutto con le “peggiori” intenzioni, cioè con “War”, una canzone sui conflitti interni ed esterni.

Seguono poi undici tracce, che come ho già scritto hanno la capacità di perforarti le orecchie e attaccarsi al cervello a cominciare da “Grounds” e dal suo “Do you hear that thunder? That's the sound of strength in numbers” a cui segue il ritornello “I am I”. Per non parlare poi di “Mr Motivator”, a tratti spassosa “grabbing Trump by the pussy” che invita all’unione per cacciare i coglioni di torno. E ancora “Model Village” che descrive la società inglese, la manipolazione e mi sento di dire, anche la Brexit. 

Non c’è solo politica, si parla anche di molestie sessuali in “Ne touche pas moi”, altro punto di forza, la mascolinità, di Talbot e soci. Si parla di servilismo in “Kill Them with Kindness” una canzone introdotta dal pianoforte del jazzista Jamie Cullum, apprezzato da Talbot per il suo modo di presentarsi al pubblico. 

E non c’è solo frastuono (per quanto sia presente nella maggior parte dei casi), perché gli “Idles” si infilano anche in un puro post-punk con “A Hymn” una  canzone nebbiosa, nonché terzo estratto del disco. 

Rabbia, urlata a squarciagola. Ce n’è bisogno di questi tempi.




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