Micheal Kiwanuka - Kiwanuka

Micheal Kiwanuka - Kiwanuka

Quando ero a poco più della metà del disco, un evento esterno (qualcuno o qualcosa non ricordo), mi distrae e mi riporta sulla Terra. In quel momento che mi rendo conto che stavo volando in un’altra dimensione. 

Ti stavi addormentando? No, ero trasportato lontano dalle note dell’ultimo disco di Micheal Kiwanuka, risultato di una perfetta alchimia tra il cantante di origine ugandese, di Danger Mouse e Inflo. Da quando ha esordito nell’ormai lontano 2012 sul ragazzo cresciuto a Muswell Hill, ci sono grandi e pressanti attese e non mi dilungherò a raccontare alcune cose ben conosciute, ma mi limito a sottolineare che vuoi il personaggio, vuoi che tre anni sono tanti, c’era una grandissima attesa (tanto per cambiare) per questo lavoro. 

“Kiwanuka” è un titolo semplice per un disco che ha una copertina minimale. Poco fantasioso si potrebbe dire, ma già queste due scelte rappresentano l’ossatura di tutto quello che poi si sente e che Micheal Kiwanuka vuole raccontarci: le radici, l’identità e i diritti. Concetti pesanti, ma in un certo senso qui si respira un’aria di maggiore serenità rispetto al passato.
Tutte cose che si possono già odorare nella canzone d’apertura “You aint’ the problem” un brano maestoso, che mi ricorda le colonne sonore dei film anni sessanta, che strizza l’occhio al jazz ed è molto orecchiabile. E soprattutto ha un testo che parla di non mollare mai, nemmeno durante i periodi peggiori. Sì ok, detta così sembra una frase di Simona Ventura o di Barbara D’Urso, ma sto estremizzando il concetto, che è ribadito molto spesso come nel suo incisivo “Help me carry on” presente in “I’ve been dazed”, la terza canzone del disco che contrasta con il “Be Free” di “Light”.
E questo è solo l’inizio di un lungo viaggio tra atmosfere soul, pop, jazz, R&B, funk, organi, piano, chitarre, strumenti a fiato, la sua voce calda e qualche lieve rimando a un rock/pop psichedelico. Segno che la collaborazione con i due produttori è stata coinvolgente (ascoltare quella follia di “Living in Denial” tra echi anni sessanta e psichedelia).

Il punto più alto però, a mio personale avviso, si tocca con “Hero”, in cui racconta di Fred Hampton, ventunenne attivista delle Black Panther, ucciso dalla polizia "Please don't shoot me down/I loved you like a brother/It's on the news again/I guess they killed another"

Ma ancora il tema diritti civili e identità è presente anche in “Another Human Being” breve brano quasi tutto strumentale che si chiude con una voce che dice “And for the first time the community was confronted with negroes in places they have never been”. Segue sparo di pistola.
La grande attesa dunque ci ha ripagato in tutto per tutto e possiamo dire che Kiwanuka ha raggiunto il suo obiettivo, scrivendo qual è la sua identità: quella di un grandissimo artista.

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