Fontaines D.C. - Dogrel


Fontaines D.C. - Dogrel


Jimmy Rabbitte in “The Commitments” andava fiero dell’anima dura dei dublinesi. Ed eccola qui. 
Non siamo in un film (e tanto meno nel mondo del soul) ma possiamo confermare di vedere quest’aspetto in tutto il suo splendore. 

Loro si chiamano Fontaines D.C. una band che da qualche tempo è oggetto di grande attenzione ed entusiasmo (vedi Steve Lamaq e soci). Che lassù ogni tanto esagerino a gridare al miracolo è noto a
tutti, ma in questo caso basta sentire la prima traccia e leggere il testo, per rendersi conto che questo quintetto non è uno scherzo. "Dublin in the rain is mine/A pregnant city with a catholic mind/Starch those sheets for the birdhouse jail/ All mescalined when the past is stale, pale”. Segue ritornello “My childhood was small/My childhood was small/But I'm gonna be big/But I'm gonna be big”. Batteria che pesta il giusto in un’atmosfera persa tra il punk e il garage.

Ecco il mondo senza flitri dei Fontaine D.C. nati nell’Università e con la passione in comune per James Joyce. Al centro delle loro canzoni c’è la vita quotidiana, le disillusioni dei giovani, l’ipocrisia del mondo narrate con la voce Grian Chatten, una di quelle che non ti fanno impazzire per la qualità ma graffiante al punto giusto per farti sentire la sofferenza dei testi, la pioggia di Dublino. Il tutto poi si snoda tra atmosfere punk, post-punk, new wave, garage e pure folk, a un’intensità pazzesca.
Testi pungenti e amari che forse raggiungono l’apice con “Boys in the better land”, “There is no warning and there is no future (…)If you're a rockstar, pornstar, superstar, doesn't matter what you are” e una chiusura a sorpresa con l’inaspettato folk di “Dublin City Sky”. Vero, sincero.
Il titolo “Dogrel” fa riferimento al dogrel o dogreel, un componimento poetico irregolare o un verso monotono. Is it too real for ya? Dicono nell’omonimo (e singolo) “Too Real”, forse troppo no, ma sicuramente un bel disco d’impatto.

Commenti