The Good The Bad And The Queen - Merrie Land

The Good The Bad And The Queen - Merrie Land

Un giorno stavo pensando che quando tra cento anni morirà Iggy, non avrò più punti di riferimento. Poi ci ho pensato meglio e, cavolo, ho Damon Albarn. L’infaticabile Damon Albarn. Quello che spara due dischi dei “Gorillaz” in due anni e dice di averne un terzo nel cassetto. Quello che si occupa di colonne sonore, di una carriera solista (a volte dei Blur quando ha un attimo) e trova il tempo di riunirsi con altri tre amici. Le sue giornate devono durare 48 ore, o Suzi è particolamente rompicoglioni da spingerlo a chiudersi in studio, oppure è un genio. Propendo per la terza ipotesi, che mi spiega come faccia a fare tutto e soprattutto a farlo sempre bene.

Dopo questa dichiarazione d’amore nei suoi confronti, che manco una groupie disposta a tutto, la fredda cronaca segnala che il nostro dopo svariate jam fa uscire il materiale inedito registrato con la super band “The Good, The Bad & The Queen”. Che poi in realtà manco sarebbe il nome, perché questo progetto doveva essere unnamed. Poi vabbè, usi e costumi hanno fatto il resto.

Beh, dieci anni dopo lo sfavillante esordio e prima che i fan li rapissero e li obbligassero a fare qualcosa: Albarn, Paul Simonon, Tony Allen e Simon Tong, gente che solo a nominarla ti spinge all’acquisto, si ripresentano con “Merrie Land”.
E sì, il disco è uscito da un paio di settimane e io ne parlo solo adesso, dopo una miriade di ascolti e dopo che un corriere mi ha portato a casa la Special Edition (senza perderla o danneggiarla). Un investimento in termini economici, con vinile verde, CD, libro con i testi e partiture. Cartoline disegnate da Simonon e due bonus track.
Non lo dico perché voglio rivenderlo, ma perché prima di scriverlo ho aspettato di sentirlo in tutte le sue forme.

Come ben sappiamo i quattro ci sanno fare e hanno le idee molto chiare. “Merrie Land” è un lavoro che parla alla pancia di q
uella Gran Bretagna che ha votato la “Brexit”. La Gran Bretagna non cosmopolita, non quella delle grandi città, non quella di Scozia e Galles, ma quella delle province in cui questa ventata nazionalista ha trovato spazio.
Damon Albarn, ne ha fatto una sua battaglia personale. Quasi in ogni intervista cita l’errore della “Brexit” e si dichiara innamorato del Nord.
Non posso che dargli ragione ma un dubbio ascoltando le metafore di questo disco mi viene: “il nazionalista con il suo piccolo cervello e il suo grande paraocchi, riuscirà a capirne il senso?”. Cioè, tutti capiranno la sottile ironia del titolo o che la frase “I love this land” non è riferita allo stato attuale della Gran Bretagna?
Non conosco quelli che hanno votato “Brexit”, guardando però ai nostri nazionalisti, dubito che capirebbero qualcosa.
A parte ciò, il simpatico quartetto, mette in piedi un disco omogeneo, di raffinate melodie semplicemente perfetto. Produce Tony Visconti, tanto per dire. Un viaggio dalle atmosfere sospese, quasi sognanti. Peccato racconti di un incubo.

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