Amari - Polverone

Amari - Polverone

“Sono i ricordi ci tengono per le palle” e beh, non venite a dirlo a me, che più che più che altro, i ricordi, me le strizzano dolorosamente. Ma questa è un’altra storia che non c’entra nulla con il nuovo disco degli “Amari”, che vale la pena ricordare, sono tra quelli hanno scatenato l’ondata alt-pop, indie pop, elettro pop o come vi fa piacere chiamarla. Cioè buona parte di quelli su cui si chiacchiera su gruppi come Disagiowave devono qualcosa, se non tutto, a loro. 

Una band a cui tengo molto, perché mi ha accompagnato nei primi anni del duemila con bei dischi come “Grand Master Mogol” e “Scimmie d’amore” (un po’ meno “Poweri” ma eravamo già nel 2009).
Dopo quattro anni di assenza gli “Amari” tornano con un disco molto introspettivo e molto nostalgico. Se le immagini dei ricordi sono sempre state una presenza abituale nei loro testi, qui vanno molto oltre con un disco che al posto della copertina rosa avrebbe dovuto averne una, almeno, almeno, grigia.

Devo ammettere che gli anni passano per tutti e se dieci anni fa, sentir parlare di ricordi poteva farmi sorridere, ora, come detto in apertura, fa anche un po’ male e pertanto ho patito un bel po’ i testi di questo disco. Con questo non sto dicendo che facciano schifo, i problemi sono miei e non loro, sto dicendo il contrario e cioè che sono riusciti a suscitare un’emozione, con una scrittura semplice ma intensa e con il solito delicato flow.

Ma se i testi guardano al passato sul piano della musica, gli “Amari” continuano con la loro ricerca musicale, che oltre alle già collaudate e precise basi elettroniche qui si spinge fino alla Trap. Non sono un ammiratore della Trap e secondo me sminuisce l’eleganza della band cercando anche di acchiappare un pubblico più giovane.

“Polverone” che stando alle dichiarazioni della band significa sia alzarlo, il polverone, che muovere la polvere, dei ricordi, ci accompagna in vari momenti della vita: parla d’amore, di amicizia, di gioventù, come già detto.  
Il tutto è chiaro fin da subito con “Prima di Partire” e “Arte Primitiva” e si sviluppa con svariate citazioni come  Ken il guerriero, i “Documentari sullo spazio”, e toccando punte molto nostalgiche con brani come “Punkabbestia” (nostalgica e molto Trap) e tristissime con “Dinosauro”. Non mancano come sempre momenti quasi totalmente strumentali o sperimentali come “Italian Smemorato”, un messaggio whatsapp di un ragazzo napoletano che parla inglese e “Telefonata con mia mamma” dove la madre di uno di loro, parla, senza sapere di essere registrata, dei cantanti di una volta.

Non si può dire che  “Polverone” sia un brutto disco, non è allegro di certo, ma funziona e raggiunge gli obiettivi dichiarati dalla band che prosegue il suo percorso artistico oltre ad essere di gran lunga migliore del predecessore.

Il mio è un problema personale (quindi non ha alcuna importanza assoluta) e cioè non ho bisogno della nostalgia, perché sennò inizio a pensare a tutte quelle persone con cui parlavo dei primi dischi della band che ho perso durante gli anni. E potrei alzare un polverone. Di nostalgia.

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